Elogio di un’auspicata modernità – Appunti minimi sul cosiddetto Portale per il Processo Penale Telematico, ovvero la tendenza italica a trovare soluzione ad un problema che non c’è e, ovviamente, a non cercare soluzione ad un problema che c’è
Quanto qui leggerete, se ne avrete voglia e pazienza, è frutto di una riflessione collettiva che ha visto coinvolto tutto il nostro studio.
Una premessa: noi siamo assolutamente favorevoli alla gestione telematica del processo penale, intendendosi per tale la dematerializzazione al massimo grado possibile di tutti gli atti e i documenti del processo e, soprattutto, la loro gestione in via telematica da parte di tutte le parti processuali (giudici, pubblici ministeri, difensori di imputati e parti private). Chiunque sia stato coinvolto a qualsiasi titolo nella “macchina del processo” è perfettamente consapevole che gli appesantimenti, le inefficienze e molti costi dipendono da approcci e modelli organizzativi che definire ottocenteschi è poco.
Per queste ragioni abbiamo accolto molto positivamente l’introduzione, nel portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, del meccanismo di deposito di alcuni atti penali da parte dei difensori. Un primo, piccolo passo verso l’auspicata modernità gestionale.
Ma c’è un ma: così com’è fatto, o meglio, così come viene gestito, il portale semplicemente non funziona.
Al netto di qualche probabile limite strutturale, il problema fondamentale è del tutto evidente a chiunque abbia avuto la sfortuna di averci a che fare: per poter operare sul portale, l’avvocato deve essere accreditato dall’Ufficio di Procura procedente (al momento non è possibile aver accredito da parte di altre autorità giudiziarie, sicché il sistema non ha una sostanziale utilità generale), ma questo o non avviene o avviene con ritardi inaccettabili. Peraltro, succedono cose davvero bizzarre, come l’avvenuto accreditamento per processi già definiti da anni.
Sul perché questo stia capitando, le ipotesi si sprecano (un’idea ce la siamo fatta, ma per carità di patria ce la teniamo per noi). Ma in fondo il perché è tutto sommato irrilevante. La questione è semplice: se il portale deve funzionare – e addirittura è legalmente obbligatorio – chi vi è preposto è tenuto a farlo funzionare come si deve. Punto e basta.
La casistica degli inconvenienti è quasi infinita (abbiamo visto cose che voi umani…). Per chi non lo sapesse, vi proponiamo un paio di esempi:
- La Procura notifica un avviso di conclusione delle indagini preliminari, avendolo addirittura concordato col difensore che così può prendere visione degli atti e depositare una memoria. Sempre per chi non lo sapesse, il deposito della memoria deve essere fatto per legge tramite portale e nel termine (perentorio) di venti giorni dalla notifica. Il difensore scrive la sua brava memoria, predispone la copia in formato “digitale nativo” (ovvero in pdf non scannerizzato), la firma digitalmente, va sul portale e… scopre di non poter depositare perché non accreditato. Pazienza, esiste la funzione “sollecito”, ovvero si inserisce nel portale una richiesta di accredito. Il solerte difensore manda anche una gentile email al Sostituto procedente e alla sua segreteria, segnalando la circostanza. Passano le settimane e… niente di nuovo. Seconda email: nessuna risposta. Terza email: idem. Nel frattempo il termine per il deposito della memoria è andato a farsi benedire… A distanza di mesi, poi, il cosiddetto “sollecito” è ancora lì nel portale, tra color che son sospesi. A questo punto, su suggerimento di una mente perversa, il nostro difensore fa una cosa strana: rideposita tramite portale la nomina a difensore che è già agli atti della Procura, allegando l’avviso notificato come “atto abilitante” (altra cosa bizzarra su cui bisognerebbe spendere qualche parola). Come per magia, la nomina viene accettata e l’accreditamento viene aperto. A questo punto il nostro esausto difensore procede al deposito della sua memoria. Finalmente, direte voi. Ennò, perché il deposito della memoria rimane anche per mesi “in fase di verifica” (qualsiasi cosa questo voglia dire).
- La società Alfa subisce una perquisizione e un sequestro in un procedimento a carico dell’amministratore signor Beta. Questi dichiara agli agenti di polizia operanti che intende nominare immediatamente (è previsto dalla legge) un avvocato, eleggendo domicilio presso il suo studio, così da fluidificare ogni comunicazione successiva. Gli operanti redigono il verbale di identificazione del signor Beta, contenente la nomina del difensore, e lo trasmettono alla Procura. Il difensore verifica sul portale se c’è stato l’accreditamento e, come al solito, scopre che no, l’accreditamento non c’è. A questo punto il nostro difensore inserisce lui nel portale copia del verbale di identificazione e nomina di difensore, allegando quale “atto abilitante” copia del verbale di perquisizione e sequestro (cioè carte che la Procura ha già in originale), sperando così che il magico accreditamento avvenga. Ciò fatto, la solerte segreteria della Procura respinge l’accredito, perché… non è possibile considerare nomina quella nomina, cioè il verbale di nomina del difensore. A questo punto, si perdono settimane in estenuanti dialoghi su che cosa costituisca “nomina del difensore”…
Potremmo andare avanti quasi all’infinito, ma già così siamo stati noiosi e petulanti.
Sulla vicenda del portale, l’Unione delle Camere Penali ha proclamato un’astensione di più giorni, è stata “audita” anche in Parlamento (nelle quali file – in teoria – siedono innumerevoli avvocati, che dovrebbero essere preparatissimi in tema, ma sorprendentemente il più delle volte non paiono esserlo – aprendo più di un interrogativo) e il Governo ha promesso interventi.
Tanto tuonò che piovve ed ecco arrivare il variegato Decreto-Legge 1 aprile 2021, n. 44 (qui in studio scherzosamente soprannominato “decreto pesce d’aprile”) che nel primo comma del suo articolo 6 introduce nientemeno che una modifica all’articolo 24 del Decreto-Legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in Legge 18 dicembre 2020, n. 176 (risparmiamo richiami ad antecedenti e rimandi ulteriori, rinviando al Ministero per la Complicazione degli Affari Semplici che presiede alla redazione di tali testi), laddove si prevede che in caso di crash del portale, però debitamente certificato dall’ormai mitico Direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia (detto anche DGSIA, con strane somiglianze al direttore galattico interstellare di fantozziana memoria), e comunque previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria procedente, lo sventurato difensore – se ancora in vita – possa provvedere al deposito «di singoli atti e documenti in formato analogico» (cioè torniamo al buon vecchio meccanismo del praticante che va in cancelleria con copia cartacea e marca da bollo…).
Ora permetteteci qualche considerazione sparsa.
Uno. E’ di tutta evidenza che l’ultimo intervento normativo non dà soluzione al principale problema del portale, il meccanismo di accreditamento per poterlo usare.
Due. Il portale oggi non va in crash! O meglio, può essere accaduto in passato (problemi di gioventù) e potrà riaccadere in futuro (problemi di qualsiasi sistema informatico). Niente, però, che non sia stato o non si possa risolvere entro due ore. Altrimenti fatevi consigliare da chi gestisce Youporn.
Tre. Sarebbe meglio che il nostro famoso Direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia non sia deputato a creare norme e procedure, ma a gestire bene il portale, risolvendone prontamente i malfunzionamenti. Non vorremmo che il tempo perso nel certificare il crash (unito, magari, alla ritrosia a farlo…) gli impedisca di risolvere il problema.
Quattro. Se il nostro famoso Direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia ha certificato il crash, a che cosa caspita serve la successiva bollinatura dell’autorità giudiziaria procedente, che dovrebbe essere occupata a fare altro? Detto in altri termini, a cosa serve tutta questa burocrazia?
Cinque (e la finiamo qui, anche se potremmo proseguire a lungo). Ottima cosa imporre la gestione telematica del processo con un portale, ma si abbia il coraggio di andare fino in fondo, vincendo le resistenze del caso e risolvendo i problemi realmente esistenti. Far decreti a piramide, con formule che paiono scioglilingua e prevedere procedure sempre più barocche, non solo non risolve i problemi, ma non fa che riportare indietro le lancette della storia!
Se ha avuto il coraggio di arrivare fino a qua, il nostro lettore è sicuramente esausto. Soprattutto se ha studiato organizzazione aziendale. Lo preghiamo di perdonarci. Ma la nostra frustrazione, come avvocati penalisti da sempre aperti e disponibili all’innovazione e a quel che è chiamato “efficientamento”, ha raggiunto livelli davvero insostenibili e non possiamo non manifestare il nostro disagio.
Per lorsignori nella Pubblica Amministrazione, tempi ed oneri poco rilevano, ma per le nostre imprese e per i nostri cittadini, stremati da oltre un anno di pandemia che giunge all’apice di un ventennio di stagnazione, rischiano di portare a punti di rottura.