Gli avvocati e la prescrizione

L’altro ieri Liana Milella ha pubblicato un articolo sul blog “Toghe” ospitato dal sito di Repubblica. Grossomodo, si sostiene che gli avvocati vogliono una prescrizione “eterna”, che sono un partito tutto dedito ai propri interessi e che, pensa tu, osano persino scioperare contro una “legge giusta”. Indipendentemente dalle opinioni, e da qualunque difesa della categoria (che spesso è “al di sotto” di ogni sospetto), l’articolo rientra a mio avviso tra le cosiddette fake news. Così, facendo violenza alla mia ritrosia nel commentare i blog, ho postato un mio contributo. E ho perso il mio tempo: se qualcuno ha voglia di andarsi a vedere gli altri commenti postati, capirà il perché.

Così approfitto del sito di studio per provare a dire la mia su avvocati e prescrizione del reato.

Il tema della prescrizione è sicuramente delicato e complesso. Per chi volesse approfondire, su Diritto Penale Contemporaneo (ottima rivista on line che, purtroppo, sta avendo qualche problema) sono stati pubblicati contributi di grande valore, ad esempio quelli di Gian Luigi Gatta e di Giuseppe Losapio.

Ma certamente non è vero che gli avvocati sono tetragoni nel difendere lo status quo. Perlomeno io non lo sono.

Concordo con chi ritiene che la prescrizione, oggi, sia un istituto ibrido, che tiene insieme due concetti tra loro diversissimi: un “time banner” tra la data di commissione del reato e la data di esercizio dell’azione penale e un diverso “time limit” per la celebrazione del processo. Sono quindi persino più radicale della cosiddetta “riforma Bonafede“: a mio avviso la decorrenza del termine di prescrizione dovrebbe cessare addirittura con l’esercizio dell’azione penale; ma, come contraltare, deve essere posto un limite temporale certo alla celebrazione del processo, in tutti i suoi gradi di giudizio. In mancanza della seconda opzione, la prima non è praticabile. E non è praticabile anche nella forma voluta dal governo giallo-verde.

Ora, ha senz’altro ragione il professor Gatta quando dice che il problema della possibile durata infinita del processo, creata dalla riforma Bonafede, «sia mal posto perché viziato da un equivoco suggerito da un insano realismo: quello di considerare la prescrizione del reato – che a processo in corso è una patologia del sistema – come un farmaco per curare la lentezza del processo, che è un’altra patologia del sistema. Un male non può rappresentare la cura di un altro male. Se la prescrizione del reato agisce di fatto come metronomo del processo, determinandone i tempi (mi riferisco anche solo alla fissazione delle udienze), è dovuto a una disfunzionalità del sistema, che mostra la sua inefficienza attraverso processi troppo lunghi e la sua inefficacia attraverso l’enorme numero di reati che annualmente cadono in prescrizione, garantendo l’impunità agli autori e negando giustizia alle vittime. La riforma oggi approvata mette allora a mio avviso i penalisti davanti alla realtà: la prescrizione del reato non può essere un rimedio all’irragionevole durata del processo, che va evitata per altre vie».

Ma se queste “altre vie” non vengono poste in essere, meglio un “insano realismo” che un… sano disastro: l’imputato a vita.

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Riporto qui sotto il mio commento all’articolo di Milella:

Cara Liana, da avvocato, mi spiace dirle che lei ha torto. Mi permetta un esempio concreto, tratto dalla mia esperienza professionale.
Processo per frode in pubbliche forniture. Il reato sarebbe stato commesso nel 2012. Ometto di dire qual è il Tribunale, tanto è più o meno lo stesso ovunque.
Prima udienza fissata per il 3.12 2014. Il PM ha fatto una stupidaggine: ha emesso decreto di citazione diretta a giudizio quando per questo reato è prevista l’udienza preliminare. Propongo la relativa eccezione, facendo notare che però il capo d’imputazione è equivoco, che forse non è una frode ma un semplice inadempimento, che in questo caso sarebbe corretta la citazione diretta a giudizio (senza udienza preliminare) e che quindi se il PM modifica il capo d’imputazione possiamo andare avanti. Il PM si associa alla mia eccezione… Quindi si va all’udienza preliminare.
Il GIP fissa l’udienza preliminare per il 3.7.2015 e poi la rinvia al 23.10.2015. In quest’ultima occasione dispone il rinvio a giudizio per il 21.9.2016 (sì, quasi un anno dopo…).
E qui comincia il balletto. Causa giudice che viene trasferito ad altro ruolo, citazioni omesse e altre disfunzioni tribunalizie, il processo viene rinviato dal 21.9.2016 al 11.1.2017, poi al 18.10.2017, poi al 13.7.2018, poi al 1.3.2019.
In quest’ultima occasione sentiamo finalmente i primi due testi del PM. Però il Giudice si rende conto che la prescrizione è fissata al luglio successivo. Risultato: rinvio al 12.7.2019 per dichiarare l’intervenuta prescrizione.
Davvero tutto questo sarebbe colpa mia?